pippo fava

Un uomo vero. Un cronista libero. Uno scrittore capace. Un giornalista Giornalista, come avrebbe detto il suo collega Giancarlo Siani. Ma anche un drammaturgo e uno sceneggiatore. Tutto questo è stato Giuseppe Fava, detto Pippo. Un professionista della parola scritta, un uomo che ha raccontato la Sicilia in tutte le sue sfumature e le sue debolezze. In tutta onestà e sempre al servizio della verità. “Io posso serenamente affermare che lo spirito politico di questo giornale è la verità. Onestamente la verità. Sempre la verità. Cioè la capacità di informare la pubblica opinione su tutto quello che accade, i problemi, i misfatti, le speranze, i crimini, le violenze, i progetti, le corruzioni, i fatti e i suoi personaggi”. Con queste parole Fava spiega quale doveva essere lo spirito del suo giornale, il Giornale del Sud, di cui fu direttore dal 1980 al 1982.

Ma facciamo un doveroso passo indietro. Giuseppe Fava nasce il 15 settembre a Palazzolo Acreide, paese in provincia di Siracusa. Città, quest’ultima, nel quale si trasferisce negli anni quaranta per frequentare il Ginnasio e il Liceo. Figlio di maestri elementari e nipote di contadini, il giovane Pippo si laurea in Giurisprudenza a Catania. Ma anziché intraprendere la carriera di avvocato, si accorge di possedere un interesse molto più grande: il giornalismo. Inizia così la sua lunga stagione di cronista, dapprima al giornale Sport Sud, passando poi per il Giornale dell’Isola e il Corriere di Sicilia, fino al ruolo di caporedattore al quotidiano catanese del pomeriggio Espresso sera, dove lavora per oltre vent’anni. Proprio di questo periodo sono le sue due interviste a importanti boss mafiosi dell’epoca, quali Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo. “Per Genco Russo la mafia era una causa”, dice Pippo Fava in occasione della sua intervista rilasciata a Enzo Biagi il 28 dicembre 1983, pochi giorni prima di morire.

Ma c’è anche il teatro nella vita di Fava. Come dimostrano il premio Vallecorsi con Cronaca di un Uomo (1966) e il premio IDI con La Violenza (1970). E dal suo romanzo Passione di Michele, il regista tedesco Werner Schroeter ne trae il film Palermo or Wolfsburg, che vinse l’Orso d’Oro nel 1980. Un uomo a tutto campo, che si dedica negli anni alla sue grandi passioni, senza tirarsi indietro mai.

Il 1980 l’anno della svolta. Dopo l’esperienza ventennale all’Espresso Sera, viene chiamato a dirigere il Giornale del Sud. Si presenta dunque l’occasione aspettata da tanti anni: la possibilità concreta di raccontare i fatti e la volontà di scrivere verità scomode a molti. In pochi mesi il nuovo direttore forma una vera squadra di giovanissimi cronisti, tra i quali troviamo il figlio Claudio, Riccardo Orioles, Michele Gambino e Antonio Roccuzzo. Dopo un anno di duro ed intenso lavoro iniziano le intimidazioni e gli atti di forza contro la rivista. Fava e i suoi giovani cronisti hanno osato denunciare e gridare a tutti la presenza della mafia a Catania e dei suoi rapporti costanti con la grande imprenditoria della città. La redazione si è anche spinta oltre. Infatti, la presa di posizione contro l’installazione della base missilistica NATO a Comiso e l’appoggio incondizionato all’arresto del boss Alfio Ferlito costano a Giuseppe Fava il licenziamento, complice anche l’arrivo di nuovi imprenditori alla guida del giornale. A nulla serve l’occupazione della redazione dei suoi giovani cronisti.

Ma nulla può fermare il coraggio di Giuseppe Fava. Per dare seguito all’impegno profuso in quell’anno e per nutrire di nuova speranza i suoi giovani giornalisti, fonda la cooperativa Radar con l’auspicio di poter finanziare un nuovo progetto editoriale. Le idee sono molte, ma i mezzi a disposizione assai scarsi. Nonostante tutto, il gruppo riesce a creare una nuova rivista mensile che prese il nome de I Siciliani. Si sviluppa così la prima esperienza di giornalismo militante antimafia. Viene denunciata a gran voce la mafia spietata di Nitto Santapaola, padrino indiscusso della città. Viene costantemente messa in luce la collusione politica-mafiosa catanese. Vengono svolte inchieste sulle attività illecite di vari imprenditori catanesi, quali Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, i quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa come li soprannominò Fava nel suo primo e più importante articolo.

Cosa Nostra, però, non rimane impassibile a osservare. Il 5 gennaio alle 21.30 Giuseppe Fava viene ucciso, freddato da cinque proiettili alla nuca. Un omicidio firmato mafia. Al contrario delle ipotesi di delitto passionale o di movente economico, piste che vengono seguite nei mesi successivi all’omicidio, come già era accaduto per il collega di Cinisi, Giuseppe Impastato. Quasi vent’anni dopo, nel 2003, la Corte di Cassazione condanna all’ergastolo Nitto Santapaola e Aldo Ercolano come mandanti dell’omicidio e infligge sette anni patteggiati al reo confesso Maurizio Avola.

 Il giorno seguente la morte di Fava, la redazione de I Siciliani continua il suo lavoro come se nulla fosse successo. Si presentano nuove persone motivate a collaborare con la rivista. Nuova linfa vitale al servizio di una causa nobile come l’antimafia e la ricerca della verità. Sempre. Ed è proprio quello che dobbiamo continuare a fare noi, come fanno oggi i Siciliani giovani, eredi di questa grande storia. Nel giorno del ricordo di un uomo vero, assassinato dalla mafia, continuiamo il nostro impegno, sempre al fine di «realizzare giustizia e difendere la libertà». E trent’anni dopo, ancora: Grazie Pippo.

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