Granollers, 11 agosto 2016

Acqua e foglie di menta, ghiaccio e un goccio di limone: la caraffa sulla nostra tavola finisce in fretta. La menta arriva dall’orto del Centro Penitenziario per Giovani di Granollers e se ne prendono cura i ragazzi detenuti insieme a pomodori, meloni, fragole e varie piante aromatiche. La menta è buona e ce ne siamo portata a casa un po’; i pomodori perini sono saporiti, un ragazzo ce ne fa assaggiare qualcuno mentre ci spiega come tagliare via i rami cattivi.
Lui nell’orto ci viene tutti i giorni, dice che si rilassa e non pensa. Dopo un paio d’ore nell’orto sotto il sole i ragazzi fanno un tuffo in piscina, sono riusciti a conquistarsi questo svago; tuffi acrobatici di puro sfogo fisico dopo il lavoro sotto il sole. Tutto quello che viene coltivato viene venduto dentro e fuori dal carcere, anche se a loro non vengono conteggiate le ore di lavoro e, ufficialmente, non possono mangiare quello che cresce.

Vanessa è l’educatrice del centro che si è presa in carico la cura dell’orto da ormai 3 anni e appena ne parla le si illumina il viso: “Sai con quanti fondi siamo partiti? 0 euro – dice – ma grazie al corso professionale di giardinaggio che era stato fatto tempo prima, abbiamo recuperato gli attrezzi necessari e abbiamo anche trovato, per caso, dei semi di fave che abbiamo piantato subito”. È molto fiera dell’orto e del valore che ha per i ragazzi che ci lavorano; è un’attività che viene svolta all’aria aperta, ti permette di sentirti più libero e i ragazzi spesso si confidano con lei in quel luogo senza sedie, tavoli, senza un tetto, senza programmi rigidi da seguire o gente che ti guarda e ti ascolta. Le attività di un orto vanno pianificate sia a lungo termine che di giorno in giorno ed è una responsabilità importante per tutti.

La menta, ci racconta Vanessa, lei non l’ha mai controllata; se ne occupano i ragazzi e si organizzano tra di loro. La cosa più bella è vedere quando qualcuno esce per un permesso e lascia detto a un compagno di prendersi cura della sua pianta: vederli attenti e coinvolti, per lei è la soddisfazione più grande. L’orto permette loro di sfogarsi fisicamente ma anche di imparare a prendersi cura di qualcosa che ha bisogno di molta attenzione. Hanno bisogno di avere responsabilità e che venga data loro fiducia e grazie a questo succedono entrambe le cose. Il lavoro nell’orto è aperto a tutti i Moduli del centro e sono i ragazzi stessi a proporsi per l’attività.

Neanche ci rendiamo conto e la chiacchierata con Vanessa prosegue e si allarga su vari argomenti. Ci troviamo in una stanza che dà sul cortile dove i ragazzi stanno posizionando le casse di terra, le bottiglie dipinte e le targhe in legno che abbiamo preparato nei giorni passati. Ogni tanto qualcuno si affaccia curioso o si ferma ad ascoltarci e a dire la sua. Gli educatori si trovano esattamente nel mezzo tra le istituzioni e i detenuti, lo abbiamo notato anche noi in questi pochi giorni. Se riescono si prendono le loro libertà all’interno dei programmi annuali ma se dall’alto viene detto “no”, allora si devono fermare; i ragazzi lo sanno bene e anche se non sono d’accordo, lo capiscono e hanno un rapporto di fiducia con gli educatori.

A una settimana di distanza da quando abbiamo iniziato il nostro lavoro come volontari sono cambiate molte cose e sono certamente aumentati i dubbi. L’impressione è che non ci sia molta differenza tra dentro e fuori e che le regole della strada nelle quali sono cresciuti la maggior parte dei ragazzi siano le stesse che esistono dentro il carcere. Ci hanno raccontato di risse, di regolamenti di conti, di rispetto da guadagnare soprattutto appena entrati.

“Esistono livelli sociali nel mondo – dice Vanessa – e così esistono qua dentro. Sono i livelli più bassi, ma si replicano tali e quali qui”. Inoltre stiamo parlando di ragazzi giovani, immaturi e spesso molto crudeli, aggiunge. Spontanea sorge la domanda successiva: cosa succede fuori, quando escono? “Fuori c’è una disconnessione forte e, soprattutto per questioni legislative, capita che i ragazzi vengano spediti fuori senza un supporto e gli stessi educatori non possono avere contatti né notizie”.

Vanessa, oltre all’orto, insegna “Valori Sociali” in uno dei quattro moduli durante tutto l’anno. In poche parole, cerca di trasmettere un’idea di società che funzioni senza conflitti partendo dal concetto di educazione e da storie di educazione alternativa dove non è necessario stare a regole precise e imposte, come succede ad esempio nel metodo Montessori. “La maggior parte dei ragazzi – ci racconta – proviene da famiglie iper protettive, permissive e maschiliste. Nella mia esperienza ho capito che un grande lavoro andrebbe fatto con i genitori e nelle scuole. Se un lavoro simile venisse fatto nelle scuole e nel sistema di istruzione, magari sarebbe diverso”.

Magari, in certi casi, non ci sarebbe neanche bisogno di una prigione.

Domani si conclude il campo; domani è il giorno dei saluti.

 

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