chapoChi segue con attenzione le vicende messicane legate alla criminalità organizzata non può che rimanere sorpreso vedendo i telegiornali italiani d’inizio anno. Stranamente si parla di Messico, di sindaci uccisi, di narcos, anzi del narcos con la “N” maiuscola, El Chapo Guzmán, ricatturato lo scorso 8 gennaio dalle forze federali messicane. TGCOM24 di Mediaset dedica una puntata speciale di “Dentro i fatti” a “la cattura del Chapo”. In questi giorni circola anche la notizia, il cui titolo occupa addirittura l’edizione delle 20.00 del TG1 del 10 gennaio, secondo cui l’attore hollywoodiano Sean Penn è perfino riuscito ad ottenere un’intervista dal narcotrafficante del Sinaloa giusto qualche mese prima del suo arresto, il 2 ottobre 2015. L’articolo di Sean Penn, uscito sul sito del periodico statunitense Rolling Stones, contiene anche la foto dell’attore insieme al Chapo, uniti in una stretta di mano vigorosa mentre guardano fieri l’obiettivo. Sebbene una news simile possa assumere toni folkloristici, quasi divertenti, in realtà di esilarante c’è ben poco. Com’è possibile che un attore di Hollywood arrivi prima delle autorità messicane al narcotrafficante “formalmente” più ricercato del mondo? Tuttavia, chi mastica un poco di storia recente messicana, saprà che in realtà la vera notizia è che l’arresto del Chapo non cambierà poi molto nel paese. Come non cambiò nulla la sua cattura nel febbraio del 2014, dato che lo scorso luglio “il corto” riuscì a scappare (per la seconda volta) da un carcere di massima sicurezza. Il cartello di Sinaloa rimane l’organizzazione criminale più ricca e potente del mondo, i suoi conti correnti sono intatti, i suoi legami ai vertici più alti delle istituzioni e della politica rimangono saldi e gli uomini del cartello, dal suo collega “El Mayo” Zambada fino agli spacciatori di basso livello, restano attivi.

gisela motaLa vera notizia di questi primi giorni del 2016, passata anch’essa sui media italiani (finalmente!) ma subito oscurata dalla cattura del boss, è l’ennesima uccisione di un sindaco messicano. In questo caso si tratta di Gisela Mota, 33 anni, eletta il 1 gennaio 2016 con il PRD (Partido de la Revolución Democrática) nel Comune di Temixco, nello stato di Morelos, 85 chilometri a sud di Città del Messico. Gisela Mota è stata uccisa il giorno seguente la sua elezione da alcuni sicari. La versione ufficiale, sostenuta dal governatore dello Stato di Morelos, ha subito incolpato il gruppo criminale dei Los Rojos, che avrebbe ucciso il sindaco perché favorevole all’attuazione nella zona del cosiddetto “Mando Unico”, ossia il progetto di unificazione dei corpi di polizia messicani (municipali, statali e federali) sotto un unico mandato, che dovrebbe, secondo i suoi sostenitori, garantire una permeabilità minore degli ufficiali dello Stato ai soldi e all’influenza della criminalità organizzata. Come sottolineano alcuni media indipendenti messicani, i collaboratori di Gisela non concordano con la versione del governatore, dato che nei giorni precedenti la donna non aveva ricevuto minacce dai narcos ma si sarebbe invece fatta dei nemici dopo aver annunciato la rescissione di alcuni contratti che il municipio di Temixco aveva stretto in precedenza con degli imprenditori privati. Qualunque sia il movente, un altro amministratore locale muore: secondo i dati del AALMAC, l’associazione delle autorità locali del Messico, sono 73 i sindaci uccisi negli ultimi dieci anni. Mentre El Chapo occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, dove viene ritratto insieme ai divi di Hollywood, si è consumata l’ennesima tragedia “di periferia”. Insomma, anno nuovo, vecchio Messico.

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