nino-di-matteo-pm

Ci risiamo. Ventidue anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, sembra ricominciato lo stesso film. Avete presente quando, arrivati alla fine di uno sceneggiato, schiacciate replay e le immagini ripartono da capo? Ecco, proprio questo sta accadendo oggi. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vennero fatti saltare in aria dal tritolo mafioso e dal silenzio dello Stato. Furono lasciati soli, con le loro paure, a combattere la mafia. Furono denigrati e sbeffeggiati sulla stampa come i ‘professionisti dell’antimafia’. Furono accusati dai colleghi di cercare prestigio e potere sfruttando un tema sensibile (ma non troppo) all’opinione pubblica. Senza dimenticare il fallito attentato dell’Addaura ai danni di Giovanni Falcone e la richiesta del conto da pagare sull’isola dell’Asinara, dove i due magistrati scrissero la requisitoria del maxi processo che portò, per la prima volta, alle condanne definitive di tutti i capi di Cosa Nostra.

Di quei fatti che insanguinarono il 1992 non sappiamo ancora la verità. Misteri, depistaggi e incongruenze si sono susseguiti in tutti questi anni. A cercare di far luce oggi sulla trattativa Stato-mafia che avvenne in quel preciso periodo storico c’è Antonino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo. Quasi a tessere un filo di coraggio, onestà e senso del dovere con quei due magistrati che hanno scritto le pagine più belle della lotta alla mafia. Processo, questo sulla trattativa, iniziato il 27 maggio scorso presso la Corte d’Assise di Palermo, che vede imputati mafiosi come Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Salvatore Riina e Antonino Cinà insieme agli ex ufficiali dell’Arma dei Carabinieri Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni, a politici come Marcello Dell’Utri e Nicola Mancino, e al figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Massimo. Mancano all’appello Calogero Mannino che ha scelto il rito abbreviato e Bernardo Provenzano, a cui è stato appena prorogato il 41 bis.

Di Matteo, sotto scorta dal 1993, è stato sottoposto ad ulteriori misure di sicurezza, dopo le recenti minacce di morte del boss Totò Riina intercettate nel carcere di Opera, a Milano. E proprio qui riprende un film già visto. A Nino Di Matteo viene offerto un Lince blindato, di quelli usati recentemente in Afghanistan. “No, non se ne parla. Non posso andare in giro per Palermo, in un centro abitato, con un carro armato. Non chiedetemelo”, risponde secco Di Matteo. E da quel rifiuto di dicembre, il vuoto. È iniziato il lento e costante isolamento del magistrato oggi più in vista d’Italia. A cominciare dall’impossibilità a partecipare alla deposizione del testimone-imputato Giovanni Brusca, svoltasi nell’aula bunker di Milano. Ma non solo. Facendo un passo indietro, il procuratore generale della Cassazione Ciani ha avviato (nei primi mesi del 2013) un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato, accusandolo di aver violato “i doveri di diligenza e di riserbo” e “il diritto alla riservatezza” del presidente della Repubblica. Inoltre, dalle Istituzioni non c’è stata nessuna esplicita dichiarazione di solidarietà al pubblico ministero. La cosa più inquietante, tuttavia, rimane l’assordante silenzio del Ministero dell’Interno (presieduto da Angelino Alfano) riguardo alla richiesta, invocata a gran voce dal presidio Scorta Civica (presidio di solidarietà, attivato da un paio di mesi davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo – su iniziativa del Movimento delle Agende Rosse – a sostegno dei magistrati impegnati nel processo ‘Trattativa Stato-mafia’), di dotare il pm del bomb jammer, l’apparecchiatura che inibisce l’utilizzo di telecomandi che possano far esplodere bombe a distanza.

In questo caso non regge il detto ‘chi tace acconsente’. Chi tace diventa complice. E’ arrivato il momento di dire basta. Aprite gli occhi e, per una volta, non giratevi dall’altra parte. È credibile uno Stato che non riesce a proteggere un magistrato che svolge il proprio lavoro correttamente? È normale che i cittadini debbano fare pressioni, organizzare sit-in davanti alle prefetture, per chiedere alle Istituzioni di fare la propria parte nella lotta alla criminalità organizzata e dotare le persone che la combattono della protezione necessaria? Proprio giovedì 27 marzo, circa cento ragazzi delle scuole superiori di Palermo hanno partecipato alla Scorta Civica, presenziando all’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia nell’aula bunker dell’Ucciardone. Allora insieme ai ragazzi, insieme a tutti i cittadini onesti di questo paese, gridiamo forte e chiaro: io sto con Nino Di Matteo! E insieme, con il nostro agire quotidiano, facciamo in modo che il finale di questo film sia diverso. Altrimenti rimarranno solo le parole. E i silenzi.