di Catarina Polloni

“La prima operazione taglia le persone, la seconda i capitali”. Si potrebbe descrivere così, parafrasando un vecchio spot di un famoso rasoio bi-lama, l’operazione Eyphemos II che il 28 settembre ha portato all’applicazione di 9 misure cautelari (4 delle quali notificate in carcere) per concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio, con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. La cosca è quella di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria), alleata degli Alvaro di Sinopoli, capace di intessere rapporti anche ad alto livello con la politica e di estendere i suoi investimenti fino a Milano e alle Marche.

Pochi giorni dopo la conferma in Cassazione dei domiciliari per Domenico Creazzo, ex sindaco di Sant’Eufemia e consigliere regionale per Fratelli d’Italia coinvolto nella prima fase dell’operazione dello scorso febbraio, la squadra mobile di Reggio Calabria ha eseguito l’ordinanza emessa dal gip Tommasina Cotroneo, su richiesta del procuratore della Dda Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e del sostituto Giulia Pantano. Al centro di questo secondo filone Domenico Laurendi, alias ‘Rocchellina’, che, si legge negli atti del gip, “commercia in droga di qualsiasi qualità, che commercia in armi anche da guerra costituendo veri e propri arsenali, che consuma estorsioni ai danni di imprenditori ha cumulato profitti illeciti che ha dovuto necessariamente reimpiegare e lo ha anche fatto attraverso vere e proprie scatole cinesi immobiliari ed imprenditoriali”. Accanto a lui il suo commercialista Gregorio Cuppari, che avrebbe contribuito all’occultamento del patrimonio immobiliare e mobiliare della cosca attraverso l’uso di prestanome e a inserirsi nei settori dell’edilizia e della ristorazione, monopolizzati poi con la violenza. Cuppari, ha spiegato in conferenza stampa il procuratore aggiunto Gaetano Paci, “è arrivato ad accompagnare lui stesso alcuni prestanome da un notaio” e ad istruire la cosca su come eludere le normative antiriciclaggio.

A Milano i contatti sono frequenti con Antonino Gagliostro, detto ‘Tony u muto’, che prima di qualsiasi decisione “per fatturare, per fare…”, secondo l’accusa, chiede consiglio a Laurendi. Così, da nullatenente e dopo aver passato alcuni anni in carcere, è diventato un imprenditore d’assalto, acquistando il Blanco caffè di via Tolstoj 9, il Bonomi Bistrot di Corso San Gottardo 51 e il ristorante Le Saie in viale Dannunzio 7/9. Attività tutte sequestrate, insieme a un altro ristorante e due società di edilizia in Calabria e a terreni e beni nelle Marche. Il tutto stimato per un valore di due milioni e mezzo circa.

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