di Giulia Chiodini

Che cosa è mafia? E cosa non lo è? Un concetto che non è mai di facile definizione, ma dal 20 Settembre 2021, grazie a una sentenza della Decima Sezione Penale del Tribunale di Roma, non si ha più nessun dubbio. I Casamonica, gruppo di famiglie sinti originario dell’Abruzzo giunto a Roma nei primi anni ’60, non sono solo semplici delinquenti ma un’associazione mafiosa ex art. 416 bis del Codice Penale.

Dopo una camera di Consiglio durata 7 ore, i giudici hanno confermato l’impianto accusatorio della DDA di Roma, rappresentata dai pm Giuseppe Musarò e Stefano Luciani. Oltre 400 anni complessivi di condanne a carico di alcuni dei 44 imputati del maxiprocesso. La più pesante condanna è stata emessa nei confronti di Domenico Casamonica. I capi di accusa sono di associazione mafiosa dedita al traffico e allo spaccio di droga, ma anche di estorsione, usura e detenzione illegale di armi. Tutto questo grazie anche ai contributi di due collaboratori di giustizia: Massimiliano Fazzari (uomo vicino alla ‘ndrangheta) e Debora Cerreoni (la “gagè” ribellatasi al clan, compagna di Massimiliano Casamonica, membro di spicco del clan).

L’inchiesta che ha portato a questo decisivo traguardo era iniziata già prima del 20 agosto 2015. A questa data risale infatti lo spettacolare funerale di Vittorio Casamonica, uno dei personaggi di maggiore spicco del clan, evento con cui il mondo venne davvero a conoscenza dei Casamonica e li cominciò a rappresentare come Mafia. Oggi si è riuscito a mettere nero su bianco in modo decisivo quella corretta rappresentazione, affermando la responsabilità giuridica di importanti membri di questa associazione mafiosa. Spesso, infatti, ciò che appare scontato nell’immaginario comune, non risulta altrettanto chiaro nelle vicende giudiziarie. 

Non è sempre immediato quindi, che si riesca a far aderire il “modello giuridico” alla realtà con cui esso si confronta. Come dimostra questo caso, lo sforzo spesso richiede anni di analisi, prima che si abbia chiarezza. Anche le scienze sociali ci consegnano dei criteri precisi e accurati per definire cosa sia un’associazione di tipo mafioso (il controllo del territorio, i rapporti di dipendenza personale, la violenza…). Criteri a volte talmente rigorosi da non riuscire a cogliere tutte le possibili sfaccettature con cui una organizzazione criminale si può caratterizzare nel concreto. Ma le fattispecie giuridiche e dunque le leggi sono concepite e scritte per punire il fenomeno mafioso. Si limitano al loro fine, ovvero perseguire il reato, non nascono per descriverlo o spiegarlo. E oggi quel fine è stato raggiunto.

Una sentenza che inoltre spezza uno degli elementi di forza del clan, ovvero una tradizione di numerosissimi episodi di impunità. Un passo avanti per cercare di smantellare questo arcipelago di famiglie, la cui fama criminale è cresciuta sempre di più negli ultimi anni, sia grazie alla loro numerosità che alla loro risaputa capacità di intimidazione a prescindere dall’utilizzo delle armi. Si è segnata quindi una svolta, dando finalmente una natura giuridica alle violenze che da decenni infestano interi quartieri di Roma Sud Est, e non solo.

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