di David Gentili

I Provvedimenti interdittivi emessi da inizio 2011 a giugno 2016 dalla sezione specializzata del CCASGO che si è occupata di Expo 2015 furono 113. Ne ho letti pochi. In realtà due. Per il resto solo notizie giornalistiche. In un caso, per la Ausengineering, del settembre 2014, sono stati sufficienti gli indizi raccolti nei confronti dell’amministratore unico della società che fruttarono la conferma del provvedimento in Consiglio di Stato: un deferimento per porto abusivo di armi (1996), un avviso orale del questore di Vibo Valentia (1998), una condanna a un anno e 4 mesi per bancarotta fraudolenta (2004) e le risultanze dell’accesso allo Sdi che certificava alcuni fermi e controlli al fianco di personaggi, alcuni condannati per 416 bis e tutti e 13 appartenenti o contigui alla cosca Mancuso di Limbadi. Questo bastò per escludere da Expo l’azienda. Per escludere l’azienda da qualsiasi contratto con la Pubblica Amministrazione. Così funziona l’informazione antimafia. Arma letale. Preventiva. Amministrativa. Ora, una sentenza del Consiglio di Stato del febbraio 2017 ha decretato che le informative antimafia si applicano anche alle attività private senza che esse abbiano un rapporto diretto con le pubbliche amministrazioni. Anche la Corte Costituzionale si è espressa. “L’interdittiva antimafia” si legge nelle motivazioni della sentenza 57 depositata il 26 marzo 2020, “nei confronti dell’attività privata delle imprese oggetto di tentativi di infiltrazione mafioso non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrifica io (nella specie era in gioco l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane) è giustificata dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana”.

Torniamo all’Ausengineering, oramai in liquidazione. Erano tre i soci dell’azienda: Davide, Alex e Emmanuele Stilo. Loro padre era fratellastro dell’amministratore delegato. Quello al centro dell’interdittiva. La famiglia, ancora oggi, gestisce lo Sporting Club di Basiglio. Un centro sportivo di successo. Frequentato da molti. Anche da Paolo Berlusconi. Nel centro era stato coinvolto anche Marco Achille. Figlio dell’ex presidente di Ferrovie Nord Norberto. Capitò al ristorante Unico di via Papa. Dall’interdittiva in Expo, dopo alcuni mesi, giunse l’interdittiva anche al ristorante di lusso, con sede all’ultimo piano del WJC World Join Center. Per gli Stilo per il momento no. Proseguono le loro feste, i loro pranzi e i loro tornei a Milano 3.

Molte attività di ristorazione a Milano sono di proprietà di persone direttamente riconducibili a famiglie di ‘ndrangheta o con reati specifici sul groppone. Prendo due esempi. Primo caso. Bar Locale ai margini di un parco. La precedente proprietaria era Eleonora Molluso figlia di Giosafatto Molluso appartenente alla locale di ‘ndrangheta di Corsico. L’attuale titolare è Palma Sergi coniugata con Sebastiano Ietto, condannato a 10 anni per traffico di stupefacenti, inserito nella famiglia mafiosa degli Ietto coinvolta in diverse indagini per sequestro di persona e possesso illegale di armi. Uno dei fratelli di Palma Sergi è legato alla famiglia Strangio coinvolta nel sequestro Sgarella. A Francesco Ietto condannato per associazione mafiosa, fratello di Sebastiano, è stata recentemente applicata un’interdittiva antimafia dalla Prefettura di Lodi per una azienda che aveva costituito dopo la scarcerazione.

Secondo caso. Gli Iorio. «Di questi anni – dice Marco Iorio a Repubblica dopo la sentenza della Cassazione – mi resta tanta sofferenza. La mia famiglia ha pagato un prezzo altissimo. Pensi di avere tanti amici, invece molti ti voltano le spalle. Qui è difficile fare impresa, ti devi guardare da tutti, perché all’improvviso puoi finire in un guaio». Badate bene non parla poco dopo la sua assoluzione, come potreste immaginare. Ma di prescrizione. I giudici di appello avevano retrodatato al 2000 l’episodio addebitato agli imprenditori e quindi non si poté confermare la sentenza d’appello che condannava Marco Iorio a 5 anni per riciclaggio a servizio di Mario Potenza, padre dell’ex socio degli Iorio. La Cassazione fece decadere tutto per prescrizione e Iorio si lamentò. Pare assurdo. Invece di chiedere scusa per aver riciclato i soldi sporchi di un famoso usuraio di Napoli, nella cui casa furono trovati 8 milioni di euro in contanti. Ripeto: otto milioni di euro in contanti. Si lamenta. Un lamento di breve durata. Anzi post datato. Visto che aveva già da tempo investito anche a Milano. Prima e dopo l’applicazione della prescrizione apre decine di locali. Riconducibili a lui ai fratelli, al cognato, agli storici soci, sono: Prime Burger, Regina, Assaje, Caprese, Pino, Baobab, Gino Sorbillo, Terrazza Calabritto, Gino’s di Santa Radegonda, l’ex Malastrana in cui era cassiere Guglielmo Fidanzati, Risotteria Braceria Massarè, Pizzeria Leone.

Per contrastare le infiltrazioni mafiose nelle attività commerciali prendendo spunto proprio dalla sentenza del Consiglio di Stato, nel gennaio 2018 inserimmo nel Piano Anticorruzione del Comune di Milano la possibilità di far ricorso all’informativa antimafia in relazione alle SCIA commerciali, partendo da un campione di SCIA pari al 5%, individuato dando priorità ad indicatori di rischio. “Un nuovo strumento di contrasto al riciclaggio nel nostro territorio che ci auguriamo dia i frutti e sia esportato in altri comuni italiani”: così scrivevo nel mio blog. Nell’aprile 2019 l’indicazione nel Piano anticorruzione viene superata dalla sottoscrizione tra Prefettura e Comune di Milano hanno sottoscritto il Patto di rafforzamento dei controlli antimafia firmato da Prefettura e Comune di Milano. Il 10 novembre scorso si è tenuta una seduta di commissioni congiunte antimafia commercio, durante la quale abbiamo discusso ampiamente della verifica dell’applicazione del Patto.

Da tempo tenevo a comprendere come stesse funzionando il Patto, perché ho l’impressione che i risultati non siano all’altezza delle aspettative. Forse solo mie. Cinque revoche di SCIA in 18 mesi di cui 3 derivate da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria, Corso san Gottardo 51, Viale D’Annunzio 7 e via Leone Tolstoi 9. Ieri, 19 dicembre 2020, l’elenco si arrichisce con altre due aziende di autonoleggio di Seregno, ma con sede legale a Milano. Ottima notizia. L’arma delle interdittive l’abbiamo ed è estremamente efficace. Erano state 4 le revoche nei primi 3 mesi del 2019: La Gambino S.r.l.s. di Viale Famagosta 20, la CO.EL SNC DI TOMMASINO MARIA & C. di Via Benedetto Marcello 93 (il ristorante Frijenno Magnanno), la Società Quintet Ristorazione SRL di Piazza XXV Aprile 7 (il Flamingo) e l’Impresa individuale Radogna Michela per la gioielleria di via Felice Cavallotti 8. Bisogna comunque dirci che non è cosa semplice applicare questa misura di prevenzione. Mesi di lavoro. Poi il Tar e il Consiglio di Stato. Che, nel 95% dei casi dà ragione agli avvocati del Ministero dell’Interno. La Prefettura è impegnata in una fase di ricognizione sui cambi di proprietà durante il periodo di Lock Down. Subentri e nuove aperture. In realtà in numero inferiore a Milano, rispetto al 2019 e al 2018. Bisognerà vedere in questi prossimi mesi. Se si guarda invece al medio lungo periodo, a Milano, c’è una crescita costante da prima di Expo per numero di ristoranti e Bar. Dal 2011 quasi un aumento del 40%.

Eppure a Milano si denuncia poco. Emblematico l’articolo comparso sul Corriere della Sera. Era il 24 luglio 2018, giorno in cui il Prefetto chiudeva il DommCafè di Corso Como, Sara Bettoni titolava: «Proprietà lampo e affari sporchi: la mala-movida rovina il settore». Intervistati dalla giornalista Sara Bettoni, le parole utilizzate da alcune figure di riferimento dei locali milanesi lasciano senza fiato: Valerio Tedaldi, titolare della discoteca «11Clubroom» si lamenta dei ritardi delle autorità, ma non dice se abbia fatto segnalazioni o meno. Erwan Maze, a capo dell’associazione dei commercianti di zona di Porta Ticinese sostiene che non è suo «compito segnalare alle forze dell’ordine. Sono un cittadino, non un gendarme e non posso fare indagini». Micaela Mainini, bar Giamaica, cosciente del problema come lei lo individua per Corso Garibaldi dice: «Prima di tutto non abbiamo documenti o prove da presentare e poi ciascuno si chiede: “Chi me lo fa fare?”». Fabio Acampora invece di Asco Arco della Pace, è disarmante: In 23 anni di carriera «non mi sono mai arrivate segnalazioni di situazioni illecite. Ma la criminalità organizzata è presente».

Eppure Confcommercio Milano che la commissione antimafia ha ospitato diverse volte, con il vicepresidente incaricato alla Sicurezza Mario Peserico, non si è mai tirata indietro. Ha sempre dichiarato l’esistenza di un fenomeno, stigmatizzato i danni alla concorrenza e si è data da fare per individuare indicatori e superare alchimie burocratiche che mitigassero le armi antimafia. Anche Confesercenti a Milano svolge un ruolo importante.

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