di David Gentili e Ilaria Ramoni

Ciò che emerge dall’Ordinanza di Custodia Cautelare scaturita dall’inchiesta Cavalli di Razza, 104 arresti a metà del mese di novembre, è la cartina tornasole della ‘Ndrangheta in salsa Lombarda. Non manca nulla degli ingredienti tipici: le intimidazioni, il rapporto con la politica locale, il riciclaggio nelle cooperative e nel ristorante rinomato a Milano, la presidenza della squadra di calcio e infine i reati fiscali, l’estorsione e la droga. Nella prima parte del nostro approfondimento, abbiamo tentato di descrivere e fotografare le diverse facce dell’intimidazione Lombarda. Ora, con tutti i limiti propri di un tema così delicato e spinoso, vogliamo provare a fare un quadro del rapporto esistente tra i clan e la politica locale, per come si manifesta nella regione più ricca d’Italia.

Se per l’inchiesta Krimisa, con al centro il locale di Legnano-Lonate Pozzolo e per l’inchiesta Mensa dei Poveri, le relazioni mafiose si sviluppavano soprattutto nel Varesotto, con l’inchiesta Cavalli di Razza, ci si immerge nel comasco. Il rapporto tra ‘ndrangheta e politica è presente costantemente e si manifesta dal sostegno al candidato fidelizzato, all’elezione del rampollo di famiglia, all’uso delle relazioni sviluppate da ex amministratori locali. Sarebbe molto interessante calcolare quanti siano i gradi di separazione o meglio, di quanti anelli sia costituita la catena di conoscenze e relazioni che distanzia o unisce il Sindaco dall’appartenente all’associazione mafiosa. Si evidenzierebbe come i piccoli e medi centri lombardi siano l’assoluta prima linea: il mafioso è il vicino di casa. il padre del compagno di classe del figlio. Oppure l’allenatore o il Presidente della società sportiva, la moglie, la catechista della parrocchia.

Per i grandi centri lombardi, Milano, Brescia, Bergamo, probabilmente, ci stupiremmo di quanto i vertici della politica siano a pochi anelli di distanza dalla mafia. Al netto dei diversi gradi di separazione esistenti, sappiamo ormai con certezza, che la mafia non può non avere rapporti con la politica. Che sia per implementare i suoi affari apparentemente leciti, per generare consenso attorno a sé o per la sua stessa sopravvivenza, il rapporto con la politica è da sempre presente nel DNA del mafioso che ambisce a rappresentare un potere alternativo allo Stato: Il potere che i problemi li risolve veramente, velocemente, anche illegalmente.

Non c’è mafia senza intimidazione. Non c’è mafia senza rapporto con la politica.
Nell’inchiesta Cavalli di Razza, da quanto pare emergere dall’ordinanza di custodia cautelare, che ha al centro il Locale di Fino Mornasco, vengono coinvolti Cesare Pravisano assessore all’urbanistica di Lomazzo dal 1985 al 1988 e l’ex sindaco, sempre di Lomazzo, Marino Carugati. Merita di essere qui riportato il loro viaggio a Gioia di Tauro che, secondo l’accusa, segna il passaggio dei due politici e imprenditori lombardi, da vittime della ‘ndrangheta a partecipi dell’associazione, mettendo a disposizione dell’associazione mafiosa le loro aziende e la loro “credibilità” maturata come pubblici amministratori. Lo stesso ex sindaco, si legge sempre nell’ordinanza di custodia cautelare, sostiene che Pravisano “voleva che smettessi di lavorare in Africa (per ENI ndr) e mi occupassi delle cooperative in quanto aveva bisogno di una “faccia pulita” che potesse avere contatti con i comuni che davano lavoro. Mi diceva che ero stato sindaco ed avevo i contatti per poter ottenere lavori essendo una persona spendibile. La sua idea era di entrare in affari con i calabresi in modo da mitigare le loro richieste di denaro. Il viaggio a Gioia Tauro serviva per parlare con le famiglie calabresi”.

Tra gli arrestati c’è anche Alessandro Tagliente. Nel 2015 era Presidente della squadra di calcio di Cadorago e in una intervista rilasciata a Klaus Davi, ancora facilmente reperibile in rete, il “presidente”, elogiava la mafia, sostenendo che “Forse si stava meglio quando la mafia quella mafia che era veramente unita e giostrava un attimino tutto, adesso che sono tutti sciolti si fa più disastri”. Tornando all’inchiesta Cavalli di Razza, di Tagliente parla Luciano De Lumè, Consigliere Comunale a Fino Mornasco. Ne parla perché da Tagliente si reca per poter avere un lavoro per la figlia: “… ho rispetto di Tagliente perché può non essere uno stinco di santo o un bandito ma con me si è comportato bene” . Il Pm incalza: “Perché definisce Tagliente un “bandito”?” Il Consigliere Comunale risponde: “Tutte le persone gli portano rispetto e si fa rispettare”. E ancora. E’ proprio di questi giorni la notizia che il sindaco di Ferno risulterebbe indagato per voto di scambio politico-mafioso. Secondo l’accusa Filippo Gesualdi avrebbe stretto, nel 2017, un “patto elettorale” con Emanuele De Castro, in passato ai vertici del Locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo e oggi collaboratore di giustizia.

Il tutto è partito con l’inchiesta Krimisa. Nel luglio 2019 l’arresto di Enzo Misiano, allora Consigliere Comunale di Ferno, condannato in primo grado a 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa.
Cinque anni di carcere, invece, sono stati chiesti dalla pm di Milano Alessandra Cerreti per l’ex sindaco di Lonate Pozzolo, Danilo Rivolta, e quattro anni, invece, per Francesca Federica De Novara, ex assessore dello stesso comune del Varesotto. Secondo l’accusa, a prodigarsi per recuperare i voti per Rivolta, facendo da tramite proprio con i De Novara, l’ex coordinatore regionale dei Cristiano Democratici Peppino Falvo, noto con il soprannome di ”re dei Caf”, che ora risulterebbe imputato per voto di scambio politico-mafioso. Durante le indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, sono state sequestrate a Falvo alcune agende. Una sorta di “libro mastro” con decine di nomi e numeri di telefono delle persone alle quali si era rivolto per ottenere voti. “Sullo sfondo”, come scrivono i giornalisti Guastella e Giuzzi sul Corriere, “anche il ras della politica varesina Nino Caianiello” (arrestato nell’inchiesta Mensa dei poveri, il cui processo inizierà tra pochi giorni) che, secondo le dichiarazioni dell’ex sindaco-pentito Rivolta, era al corrente della raccolta di voti mafiosi. Gli investigatori sottolineano anche “i rapporti politici” tra Falvo, Giuseppe Zingale e l’ex eurodeputata Lara Comi, entrambi indagati nell’inchiesta Mensa dei poveri. Secondo gli inquirenti dalle indagini emerge “l’intreccio tra l’attività politica e quella professionale di Falvo che, attraverso il coordinamento dei centri di assistenza fiscale, s’impegna nella raccolta dei consensi elettorali”.

Peppino Falvo ci porta dritti a Milano, là dove raggiunge il massimo della sua visibilità e potere pubblico, diventando, ai tempi di Guido Podestà, Presidente di AFOL, l’Agenzia Metropolitana per la formazione, l’orientamento e il lavoro. In Afol coltiva i rapporti con Giuseppe Zingale, anche lui calabrese, Direttore Generale di Afol fino a quando viene sospeso a ottobre 2019 e licenziato per giusta causa l’8 novembre, una settimana prima del suo arresto. Non possiamo non ricordare che nell’indagine Mensa dei Poveri compare anche Pasquale Marando. Grazie ai rapporti con la politica, entra nel collegio dei revisori della Provincia di Milano e di numerose aziende partecipate. E’ presente al noto summit tenutosi il 23 maggio 2009, per promuovere la candidatura di Leonardo Valle (figlio del noto boss della ‘Ndrangheta Don Ciccio Valle) al consiglio comunale di Cologno Monzese. Nel 2012 viene raggiunto da un Decreto per l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale della durata di tre anni e sei mesi.
Quando era stato nominato, nel Collegio dei Revisori della Provincia era presente anche Pietro Pilello. Anch’esso, come Marando del resto, mai condannato ma più volte citato nell’inchiesta Infinito come “capitale sociale della mafia” prima e poi, nel 2016, ricomparso nell’inchiesta milanese che ha portato all’amministrazione giudiziaria di un’azienda di fatto pubblica, la Nolostand, partecipata di Fiera spa. L’allora Sindaco di Milano Letizia Morattii chiese la rimozione di Pilello nel 2010. Rinominato dal centrodestra nell’ATO Città di Milano, viene fatto dimettere, dopo l’inchiesta Nolostand, dal Sindaco di Milano Beppe Sala. Entrambi commercialisti. Entrambi indicati come Capitale sociale. Mai condannati in alcun processo.

Lo sappiamo bene che molte delle evidenze dei legami tra criminalità organizzata e politica sono ancora nella fase iniziale, così come sappiamo che le accuse devono reggere al processo e al dibattimento. Molte non arrivano a sentenza. Ma anche solo che questi legami e questi contatti tra politica e mafia ci siano stati e ci siano, ancorché non costituenti reato, ci devono fare profondamente riflettere e non possono e non devono passare inosservati. Ma questo accadeva prima, durante e dopo l’ormai nota operazione Infinito del giugno 2010. Le notizie ora giungono numerose dal comasco e dal varesotto. Ma oggi, a Milano, cosa sta succedendo?

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