Centinaia di giovani studenti all’incontro con Ilda Boccassini sulle “Strategie di contrasto e repressione della criminalità mafiosa al nord”
“Se la mafia a Milano è presente, è anche per colpa degli imprenditori “puliti”…Perciò bisogna uscire dal vittimismo e superare i luoghi comuni”.
Parla piano Ilda Boccassini, ma le sue parole pesano come macigni e scuotono il composto silenzio dell’aula 208 della “Statale”, dove le centinaia di studenti e curiosi assiepati sui banchi, sulle scale e nei corridoi l’ascoltano per oltre un’ ora e mezza. Tempo durante il quale la coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano va ben oltre il semplice elenco delle “Strategie di contrasto e repressione della criminalità mafiosa al nord” – il titolo dell’incontro organizzato da Libera e da tutti gli atenei milanesi – , ben consapevole di come queste organizzazioni criminali vadano conosciute ancor prima che combattute. Occhi fissi sulla platea, voce ferma e decisa, la Boccassini guida il pubblico in un vero e proprio viaggio – rigorosamente senza telecamere: il magistrato le ha fatte uscire “perché questo deve rimanere un momento di riflessione” – all’interno del mondo criminale-mafioso. Un mondo fatto di storie e personaggi, eroi e carnefici, complicità e collusioni. E tanta, tanta omertà. Il viaggio parte dagli anni ’80 quando, beneficiando del cono d’ombra garantito dal terrorismo e delle stragi, la “seconda guerra di mafia” dei Corleonesi di Totò Riina insanguina Palermo e la ‘Ndrangheta, nell’indifferenza generale, mette le mani sul nord Italia a colpi di rapimenti e riscatti, ponendo le fondamenta delle sue successive fortune. Anni che, però, hanno anche il merito di salutare la nascita delle prime leggi antimafia – su tutte il 416bis, reato di associazione di stampo mafioso – , tappe di quel processo che doterà l’Italia della “migliore legislativa antimafia del mondo”. Con l’inizio degli anni ’90, sulla scia di sangue che vede cadere, tra gli altri, Antonino Saetta e Rosario Livatino – ricordati con voce commossa dalla Boccassini – , l’introduzione della Direzione Nazionale e delle Direzioni Distrettuali Antimafia , “creature di Giovanni Falcone”, segna un passo fondamentale in questo processo, in quanto permette alla magistratura di combattere l’articolazione territoriale dell’organizzazione criminale evitando la frammentazione tipica della competenza “per Procure”. Volgendo lo sguardo verso l’attuale situazione di Milano e del nord Italia, il tono di voce si fa più aspro e la Boccassini lancia i suoi “j’accuse”: a quegli imprenditori “puliti” e compiacenti che, assegnando lo smaltimento dei propri rifiuti ad aziende che offrono il servizio a prezzi talmente stracciati da non poter evitare di destare sospetti, penalizzano le aziende oneste e arricchiscono quelle che operano nella galassia dei clan. Alla stessa magistratura, per troppo tempo incapace sia di assumere visione unitaria del fenomeno e di collegare tra loro i ripetuti episodi di danneggiamenti, incendi, sabotaggi e minacce che da qualche anno colpiscono i cantieri di alcune zone del milanese e della Lombardia, sia di considerare la ‘Ndrangheta come un’unica organizzazione criminale su base familiare e suddivisa in “locali” ben radicati sul territorio già negli anni ’90. All’ormai diffuso e imperante clima di omertà, paura e rassegnazione che ha accompagnato l’insediamento e favorito la prosperità delle organizzazioni criminali, le cui principali famiglie hanno ormai raggiunto – nel prospero e “sano” nord Italia – una capacità intimidatoria tale da non dover sempre ricorrere all’utilizzo della forza. Qualcosa, però, sembra muoversi. Alcuni importanti risultati – rivendica la Boccassini – sono stati raggiunti. Come la registrazione del summit di ‘Ndrangheta tenutosi la scorsa estate a Paderno Dugnano, durante il quale è stato eletto il capo dell’organizzazione in Lombardia. E, ancora, come l’introduzione di un’importante riforma in ambito penale, che ha dato la possibilità alle Direzioni Distrettuali Antimafia di incarcerare alcuni testimoni reticenti. La presenza della ‘Ndrangheta al nord – ammonisce il magistrato – è comunque ben lontana dall’essere debellata. Oltre al mare di diffusa omertà e complicità in cui si muove e di cui beneficia, l’organizzazione criminale può infatti giovare di una struttura organizzativa estremamente solida che, proprio per via della sua articolazione su base familiare, conta un bassissimo numero di pentiti: parlare e collaborare equivarrebbe infatti a condannare un membro della propria stessa famiglia.
La guerra contro le organizzazioni criminali di stampo mafioso, anche al nord, è dunque “una guerra per la democrazia” in quanto il potere mafioso minaccia le libere consultazioni elettorali.
Una guerra – come ricorda la Boccassini citando Giovanni Falcone – che “dev’essere combattuta con il massimo impegno e la massima serietà”.