Lunedì 13 febbraio. Metti una sera in una Facoltà dell’Università Statale di Milano. Metti una motivazione a sfidare la temperatura sotto zero, un freddo che fa tremare, di quelle che promettono di rinvigorire più del vin brulè in piazza. Prendi il tutto e ottieni “La Meglio Gioventù”. Sotto gli auspici e l’entusiasmo del Preside, il Prof. Daniele Checchi, orgoglioso che la Facoltà sia tornata ad essere un “luogo di coscienza civile”, Scienze Politiche apre le porte – o meglio, eccezionalmente le tiene aperte – per un evento promosso e organizzato dal Prof. Nando dalla Chiesa e dal Dipartimento di Studi Sociali e Politici. “La Meglio Gioventù” significa premiare le migliori tesi di Sociologia della criminalità organizzata prodotte nelle sessioni di laurea del 2011. Quarantuno lavori di ricerca, quarantuno volti, quarantuno storie di caffè nero la notte e grattacapi senza tregua. La Sala Lauree gremita è lì per applaudire i risultati di quei quarantuno “studenti e studiosi”  che con il loro impegno si fanno ogni giorno “promotori attivi di consapevolezza”, portando la loro determinazione scientifica e civile nelle loro realtà locali e dandosi pervicacemente da fare per organizzare eventi pubblici in cui denunciare il radicamento mafioso nei loro territori. “Alcuni diventano esperti e la qualità delle loro conoscenze gira l’Italia”, assicura dalla Chiesa, che di tutte queste storie è motivatore e di tutte queste tesi relatore. L’evento di lunedì sera celebra, di riflesso, la ritrovata sinergia tra università e società civile, ne svela il riscoperto dialogo, ne esalta la vitalità rimasta per anni latente. E le nove tesi presentate delle quarantuno premiate (con libri messi a disposizione dalle case editrici Melampo e Chiare Lettere) testimoniano esattamente questo: guai a parlare degli studenti come di spugne acritiche e inconcludenti. E basta parlare dell’università come fosse l’anticamera della disoccupazione. Investire energie nei propri studi e investire i propri studi nel sociale e nell’impegno civile a partire dal proprio territorio paga. “Con la cultura non si mangia”, diceva un tale. Non ci si abbuffa come certi parassiti statali, questo è sicuro, ma altrettanto certo è che può garantire un guadagno dignitoso – molte delle quarantuno tesi si tradurranno in progetti editoriali per riviste del settore, non solo italiane – oltre che una vita ricca di quel bene prezioso che si chiama soddisfazione. E chi ha assistito alla presentazione dei lavori di ricerca non ha visto altro che soddisfazione sui volti di quegli studenti, tutti laureati in corso a pieni voti e in gran parte lavoratori part o full time. Ragionevolmente il senatore Antonino Caruso, membro milanese della Commissione Parlamentare Antimafia, si dice “impressionato dalle illustrazioni appassionate”. E ha tutti i motivi anche Basilio Rizzo, Presidente del Consiglio Comunale di Milano, per definire “fondamentale il ruolo del sapere” tanto da auspicare un costruttivo  “rapporto tra studenti e amministrazione” comunale. Quel sapere che ha il colore della “assunzione di responsabilità”. “Siete voi che insegnate delle cose a noi”.  I soliti occhi chiusi di don Luigi Ciotti che parlano. E denunciano che “l’ultimo codice antimafia è fitto di tranelli e contraddizioni” che ostacolano la vera lotta contro la mafia. La vera lotta per l’alternativa, che lunedì sera portava i nomi di quarantuno studenti e studentesse, “persone innamorate della vita e lontane dai compromessi”, persone “disposte a crederci” ogni giorno nel valore di quella “ricerca e cultura che arricchisce tutti noi”. E allora evviva tutti loro. Evviva questa Milano che studia.

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