di Demetrio Villani

25 anni dalla strage di Capaci: la celebrazione dell’anniversario a Milano attraverso il racconto dell’imprenditore calabrese che denunciò i suoi estorsori.

Milano, 23 maggio. Sono trascorsi venticinque anni da quel pomeriggio in cui un attentato di matrice mafiosa, di una violenza inaudita, tolse la vita al magistrato Giovanni Falcone, a sua moglie rancesca Morvillo e ai tre uomini della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo. 500kg di tritolo depositati in cunicoli sotterranei dell’autostrada per Palermo, presso lo svincolo di Capaci, vengono fatti esplodere alle ore 17.58 mentre passano le due auto di scorta del giudice. Un giorno buio della Repubblica, che ha segnato una generazione e forse l’intera popolazione. Nasce da qui una nuova consapevolezza che porta alla voglia di contrastare il fenomeno mafioso. Un cambiamento promosso da tadini e istituzioni, totalmente scioccati da un atto di incredibile violenza, compiuto da un’organizzazione che dai più era considerata soltanto un problema territoriale marginale.

Da qualche anno, la cittadinanza milanese organizza le celebrazioni dell’anniversario della strage presso il Liceo scientifico “Alessandro Volta”, dove circa 17 anni fa un gruppo di studenti e professori scelsero simbolicamente di piantare un albero e di intitolarlo a Giovanni Falcone Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, creando, forse inconsapevolmente, un vero e proprio monumento civile alla memoria, che sempre più sta diventando riconoscibile come tale. Arrivando al Liceo, oltre alla presenza di centinaia di studenti, colpisce il colpo d’occhio offerto dai numerosi lavori svolti durante l’anno dai ragazzi delle scuole milanesi in occasione dei percorsi sul tema della legalità. Sono tantissimi e colorano il contesto, solitamente più rigido, della struttura scolastica.

La giornata di quest’anno, che vede come organizzatori il “Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva”, il “Centro di Promozione per la Legalità”, con “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, “Scuola di Formazione Antonino Caponnetto”, “Fondazione Falcone”, “Fondazione Cariplo”, dedica una particolare attenzione alla situazione calabrese, ed è intitolata “L’eredità di Falcone e Borsellino nella Calabria che si ribella”. Il tema è stato scelto in connessione alla nascita, di qualche settimana fa, del “Ponte Milano-Calabria”, campagna di opinione permanente, nata con l’obiettivo di portare alla luce le storie di quella Calabria che ancora oggi resiste e si ribella.

Proprio in sintonia con il tema, uno dei seminari pomeridiani in programma ha visto la partecipazione di Rocco Mangiardi. L’imprenditore di Lamezia Terme, che nel 2006 scelse di denunciare i propri estorsori, appartenenti al clan Giampà, rappresenta un racconto vivo e trasparente di ciò che un commerciante calabrese deve sopportare e vivere durante la sua attività. Quella di Mangiardi è la storia di un cittadino calabrese che ha scelto la dignità, compiendo un atto che appartiene alla dimensione dello straordinario nell’ordinario; così lo presenta Sabrina Garofalo, la ricercatrice calabrese ospite e conduttrice dell’incontro.

Il racconto di Rocco Mangiardi è così lucido e schietto che il pubblico, una platea di giovani studenti, ne è totalmente assorbito. La dignità e l’orgoglio per la scelta di denunciare emerge fin dalle prime battute. Mangiardi racconta, infatti, della rabbia provata nel momento in cui gli venne fatta la proposta di andarsene dalla Calabria per ragioni di sicurezza. Racconta anche dell’impossibilità di tradire i valori di giustizia e di buona cittadinanza insegnati ai figli, valori che sarebbero andati distrutti se si fosse piegato alla tassa ‘ndranghetista. Si sofferma a lungo su questo passaggio, anche in seguito ad una domanda di Martina Mazzeo, ricercatrice dell’Università degli Studi di Milano ed ospite del seminario: “Lo sguardo di orgoglio dei miei figli, questa è la cosa più straordinaria che mi è accaduta in vita. L’importanza di un semplice no come strumento di lotta e come esempio per loro”. Sabrina Garofalo sottolinea poi la necessaria attenzione che si deve dedicare a queste “piccole rivoluzioni calabresi”, che vedono protagoniste le testimonianze di imprenditori, giornalisti e familiari di vittime innocenti, che si stanno ribellando al sistema ‘ndranghetista. In questa battaglia è fondamentale, secondo l’imprenditore, non avere timore della giustizia e delle istituzioni­, troppo spesso additate come assenti ma realmente attive nella tutela di chi denuncia.

L’intervento dell’imprenditore, nella sua umiltà coraggiosa, costituisce un vero esempio di amore verso la libertà. Testimonia, inoltre, la complessa situazione calabrese: Mangiardi è infatti sotto programma di protezione da qualche anno, in seguito alle minacce ricevute. “Io vivo sotto tutela perché altri miei colleghi non amano la libertà. Devono reagire, devono avere coraggio! Io sono il primo fifone ma quando sulla bilancia della vita metti da un lato la paura, e dall’altro l’amore per la famiglia, l’amore per la tua terra e l’amore per la libertà, io dico che c’è solo una risposta. Che senso ha una vita scortato dalla mafia?”.

Uno straordinario esempio di libertà e dignità nell’ordinario, le stesse caratteristiche che contrassegnarono il lavoro dei due magistrati ricordati in questa giornata, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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