di Amedeo Paparoni

Non è la prima volta che in Germania nasce un’attività commerciale il cui brand gioca con gli stereotipi del crimine organizzato. Eppure la birra a tema mafia era difficile immaginarsela.

Dopo la strage di Duisburg del 2007 (la sparatoria tra le ‘ndrine Nirta-Strangio e Pelle-Vottari di San Luca che ha causato la morte di sei persone), le decine di arresti a seguito delle inchieste Stige ed European ‘ndrangheta connection del 2018 e le successive inchieste giornalistiche di Margherita Bettoni su Correct!v, sembrava infatti finito il tempo in cui i tedeschi potevano illudersi che la mafia fosse un problema solo italiano.

Non tutti i tedeschi hanno però compreso la pericolosità dell’ingombrante presenza del fenomeno mafioso nella loro nazione e alcuni di loro sono ancora affascinati dall’immagine romantica della mafia. Lo testimonia il caso del birrificio Munich Brew Mafia di Monaco di Baviera che ha infatti costruito la sua identità di brand su espliciti richiami al mondo del crimine organizzato. Le etichette delle birre in bottiglia non lasciano troppo spazio all’immaginazione. C’è la birra Don Limone, la cui etichetta riprende l’estetica della locandina di Scarface, o la Don Collection Nelson, su cui è raffigurato un uomo con borsalino, occhiali da sole e sigaro mentre gli viene scattata la foto segnaletica. Per la Gangster Paradise è stato scelto il disegno di un soggetto in piscina con alle spalle donne in bikini e sfondo di palme e grattacieli, mentre per la Manolo Pistolo un uomo che indossa un borsalino e punta una pistola.Tra i gadget acquistabili nello shop online figura anche una maglietta con i disegni delle etichette e la scritta “La Familia”.

La pagina facebook del birrificio ci racconta come hanno reagito i tedeschi, e non solo, davanti a un brand così provocatorio. Alcuni utenti ne hanno commentato causticamente i post, esprimendo sdegno per un utilizzo così disinvolto degli stereotipi del crimine organizzato. Altri si sono lamentati del fatto che nei beer shop locali la birra del Munich Brew Mafia non si trova perché è andata sold out troppo velocemente. Altri ancora hanno richiesto informazioni sulle spedizioni internazionali. Secondo il sito del birrificio esistono oltre sessanta tra negozi specializzati e ristoranti tedeschi, austriaci e sloveni in cui è possibile acquistare le loro birre. Di fatto gli affari devono andare bene visto che a ottobre hanno potuto rilevare il beer shop Die Bierothek München di Reichenbachstrasse.

Casi analoghi a quello del birrificio tedesco finiscono sotto i nostri occhi in continuazione. È sufficiente fare una ricerca su TripAdvisor utilizzando parole come “mafia” per imbattersi in ristoranti come Cosa Nostra di Colonia, l’omonima pizzeria di Gauting in Baviera o il fast food Burger Mafia di Saarlouis, piccola città tedesca situata al confine con la Francia, alle cui pareti sono appese decine di foto di Al Capone, Luky Luciano e Sam Giancana. Per dare un benvenuto dal sapore cinematografico ai clienti del fast food all’ingresso è presente un manichino con le fattezze di Humphrey Bogart che brandisce una pistola.

La lista dei ristoranti è lunga, anche fuori dai confini tedeschi. A San Salvador la sala da barba Ruffians ha le pareti coperte da immagini tratte da Scarface e da il Padrino. Sui muri alcune targhe riportano scritte grottesche come “Warning: Protected by the Mafia” o “The Corleone Family Backs You Up”.

Infelice anche la scelta di un gruppo di tifosi di football americano statunitensi che dieci anni fa ha deciso di farsi chiamare The Bills Mafia. Questo gruppo di supporter dei Buffalo Bills, squadra della NFL con sede a Buffalo (NY), ha raggiunto un seguito a dir poco rilevante. Basti pensare che il loro account twitter ha superato i 132.000 follower. Il loro store online è ricco di gadget come magliette, cappellini, bandiere, tazze raffiguranti un bufalo accompagnato dalla parola mafia.

Criticare queste scelte di business ci pone davanti a un interrogativo: qual è il limite? La parola mafia non è e non deve diventare un tabù. A confermare questa convinzione ci sono esperienze virtuose come quella del ristorante di Casal di Principe (CE) Nuova Cucina Organizzata, nome che evoca la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. L’attività è infatti gestita da una cooperativa sociale che, all’interno di un immobile confiscato alla camorra, serve piatti preparati con materie prime provenienti da terreni confiscati. Una provocazione a fin di bene, non un goffo tentativo di rendere accattivante un brand con luoghi comuni criminali.

Trovare il sopracitato limite non è per nulla semplice, ma è interessante l’indicazione che ci viene restituita dalla deputata e componente della Commissione Parlamentare Antimafia Stefania Ascari (M5S). L’onorevole ha infatti presentato un disegno di legge per modificare l’articolo 414 del codice penale e inasprire le pene per chi, pubblicamente, inneggi ad atteggiamenti di tipo mafioso o idolatri boss ed esponenti di organizzazioni criminali. Una legge italiana che nulla potrebbe contro le trovate del birrificio bavarese ma che rappresenterebbe una lezione di civiltà. Nel frattempo un segnale incoraggiante arriva da Cinisi (PA), dove il sindaco Giangiacomo Palazzolo ha firmato un’ordinanza per vietare la vendita di oggetti che “richiamino in termini positivi, in qualunque modo e forma, la mafia e la criminalità organizzata”.

Nell’attesa e nella speranza che la proposta dell’onorevole Ascari diventi legge, per individuare il limite etico nell’utilizzo di questi richiami al crimine organizzato in nome del business, l’unica soluzione disponibile è affidarci al senso della decenza, ricordandoci che dietro al volto falsamente carismatico di un Vito Corleone o di un Tony Montana, tipi criminali mitizzati dal grande schermo, c’è la realtà, con una lunghissima lista di nomi di persone che hanno perso la vita per difendere la loro comunità. Un grande gesto di generosità visto che chi è caduto in questa guerra lo ha fatto per gli altri. Quegli altri siamo noi… noi che troppo spesso lo dimentichiamo.