Marcela Turati – Foto dell’Università Statale di Milano, scattata in occasione della Settimana della Legalità in memoria di Guido Galli 2024.

di Ilaria Franchina

Hanno dato il loro prezioso contributo alla traduzione la Prof.ssa Gonzalez Luna Corvera Ana Maria e la Dott.ssa Claudia Santinato

Marcela Turati è una giornalista, scrittrice e attivista messicana per i diritti umani. Attraverso le sue inchieste ha denunciato quanto stava accadendo in Messico durante la Guerra al narcotraffico dichiarata da Felipe Calderón iniziata nel 2006 e durata 12 anni. Traffico di droga e di esseri umani, reclutamento di minori e sparizioni forzate, queste le piaghe che affliggono il paese da anni e che giornalisti e giornaliste come Marcela denunciano a costo della loro stessa vita

Come viene detto oggi nelle strade di Città del Messico, tutti coloro che quest’anno compiranno 18 anni non hanno mai vissuto un Messico pacificato e vivono immersi in quella che gli esperti chiamano “normalizzazione della violenza”. Cambia la qualità della vita, cambia il linguaggio, cambiano gli orizzonti di pensiero. I limiti che ogni cittadino messicano è costretto a fronteggiare nella vita di tutti i giorni, soprattutto negli stati più esposti al potere dei cartelli come Chihuahua e Guerrero, sono difficili da immaginare per noi che viviamo in una democrazia che, seppur con limiti e fragilità, non è attraversata da una violenza tanto pervasiva e cruenta.

Nei racconti di Marcela emerge tutto questo, con un’importante sensibilità nei confronti dei familiari dei desaparecidos. Alle vittime che cercano i propri familiari scomparsi è dedicato il suo ultimo racconto Los Vuelos de Alicia”, vincitore lo scorso 8 marzo del Premio Inge Feltrinelli nella categoria Inchieste. Lo sguardo gentile, gli occhi dolcissimi e una tenacia rara accompagnano la nostra intervista, qualche sera dopo il Premio. 
Ci racconta che, a partire dalla dichiarazione della Guerra al Narcotraffico, capì di avere una capacità particolare nell’intervistare le vittime di quella violenza. Aggiunge di non aver mai creduto a ciò che sosteneva il governo e così iniziò a raccogliere le testimonianze dei cittadini messicani che erano divenuti vittime dei massacri e delle sparizioni (sequestri forzati) che si stavano verificando nel paese. Davanti a una realtà tanto spietata, per Marcela e i suoi colleghi si fece urgente le necessità di lavorare in equipe. Da qui la nascita, nel 2006, di una rete nazionale di giornalisti, trasformatasi nel 2008 nel progetto Periodistas de a pie che fornisce loro supporto per la sicurezza e una formazione professionale, soprattutto riguardo la tutela dei Diritti Umani

Il suo impegno personale e professionale su questo fronte inizia nel 2006, quando ancora lavorava per la testata nazionale Proceso, che decise di inviarla a Ciudad Juárez, zona “calda” del conflitto. All’epoca nessuno voleva andare in quelle zone a causa della violenza dilagante che si concentrava nella città di confine con gli Stati Uniti d’America. Scelsero lei perché originaria dello Stato di Chihuahua, cui la città appartiene. La sua ricerca non riguardava né i capi né i membri dei cartelli, ma le vittime e gli effetti sociali della violenza provocata dalla Guerra al Narcotraffico. Inizialmente riteneva che il suo lavoro non fosse pericoloso, fino a quando le fu evidente che andare alla ricerca delle persone scomparse (i desaparecidos) era altrettanto pericoloso. Questo perché alcuni dei corpi delle vittime venivano nascosti dal governo stesso, dal momento che la causa della loro morte era legata alle azioni della polizia e dei militari. Marcela racconta di non essersi mai considerata in pericolo, fino al giorno in cui scoprì che il governo la stava tenendo sotto sorveglianza. Questo ebbe inizio quando incominciò a investigare sul caso dei 46 studenti desaparecidos ad Ayotzinapa. Il culmine della pressione delle autorità si ebbe nel 2015, quando la giornalista venne messa sotto indagine per l’omicidio di un altro collega giornalista. Da lì iniziarono ad hackerare le sue pubblicazioni sui massacri delle persone migranti e dovette affrontare, oltre alle minacce, il furto del computer e dei suoi archivi. 

Noi che ci troviamo dall’altro lato dell’oceano dobbiamo tenere a mente che, come dice la giornalista, sono molti “Messici”: uno è quello che conosciamo, quello turistico, bello. C’è un Messico nel quale ci si può muovere, conoscere molte realtà senza venire a contatto con la violenza presente in altre aree del paese. Dall’altro lato, ci sono più di 100.000 persone scomparse e ogni giorno scompare almeno una persona. A questo si aggiungono molti omicidi e femminicidi (piaga anch’essa drammaticamente diffusa), oltre alle violenze e ai sequestri delle persone migranti.

Chiediamo a Marcela cosa ritiene sia importante che si sappia della realtà del suo paese:  << Credo sia importante che le persone conoscano questo volto del Messico. Che si sappia anche che il governo, nelle sue diverse declinazioni (statale, municipale e alcune volte anche federale) è implicato nell’occultamento della violenza. Il governo non vuole che tale violenza emerga e non agisce nemmeno per impedire le sparizioni forzate. Proprio per nascondere tutto questo, molte volte nascondono i corpi delle vittime. Questo fa sì che le tante famiglie che cercano i loro figli desaparecidos sono costrette a soffrire e a dover continuare la ricerca dei loro cari per sempre. C’è molta gente che sta soffrendo, però, allo stesso tempo, stanno vivendo una “normalizzazione della violenza”, perché per noi messicani la violenza è ormai tristemente una normalità. I bambini e le bambine crescono immersi in questa realtà violenta e pericolosa. Vorrei anche che si sapesse che vengono ammazzati molti giornalisti.>>

Il Messico è infatti uno dei paesi più pericolosi in cui svolgere il lavoro di giornalisti. Giornalisti che, però, non hanno intenzione di arrendersi nella loro battaglia per la verità. Marcela è infatti tra le fondatrici di Quintoelemento.lab, una piattaforma di alleanza e sostegno per i giornalisti che si occupano di questi temi. Racconta che il progetto permette ai giornalisti che vivono in luoghi a rischio e che hanno una storia da raccontare, ma che sono privi di risorse e contatti, la possibilità di ricevere il sostegno del collettivo. La situazione, se possibile, è ancora più dolorosa per i familiari delle vittime. Per sostenere la loro ricerca, è stato fondato un sito web, “adonde van los desaparecidos.org”, sul quale vengono pubblicate e aggiornate le inchieste sulle sparizioni di persone. Sparizioni che possono avere esiti diversi: le persone possono finire vittime di reclutamento forzato, dei campi di lavoro forzato e dei campi di sterminio.

Quali le strade che possono condurre fuori da una realtà tanto drammatica? La parola a Marcela Turati:  << Prima di tutto, credo sia importante per le famiglie dei desaparecidos che si continui a parlare di questo problema e per questo è molto importante il lavoro dei giornalisti. È importante dare voce alle loro testimonianze affinché possano avere giustizia. Inoltre, condurre le indagini che aiutino a far luce su casi di cui il governo non si occupa, questo è molto importante. >>


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