di Mattia Maestri

Novanta secondi. Una interminabile scossa di terremoto sconvolge Campania e Basilicata. Epicentro: Irpinia. È il 23 novembre 1980 e sono le 19.34. Interi paesi rasi al suolo. Si contano circa 3mila morti, 300mila sfollati e 150mila abitazioni distrutte. Una catastrofe. Eppure, come successe più di venticinque anni dopo a L’Aquila, quella sera c’è qualcuno che si sfrega le mani pensando alla ricostruzione, ai miliardi di soldi pubblici necessari, agli appalti. Si chiama Raffaele Cutolo ed è il capo della Nuova camorra organizzata, che in quegli è impegnato in una faida che lascia sul selciato migliaia di morti.
 
Ma quel 23 novembre del 1980 c’è un sindaco, in mezzo alla sua gente, che distribuisce cibo e coperte. Si chiama Marcello Torre, avvocato, eletto nell’agosto dello stesso anno primo cittadino di Pagani, comune salernitano di 35mila abitanti. Democristiano, molto somigliante al collega di partito Piersanti Mattarella, ucciso da Cosa nostra nel gennaio del 1980. Stessa intransigenza, stessa impronta trasparente nell’esercizio delle funzioni.
 
Perché anche a Pagani bisogna rimuovere le macerie. I soldi pubblici ci sono e la camorra si aspetta di ricevere gli appalti giusti, come accade da tempo, e soprattutto in quel periodo, in tanti altri comuni campani. I clan vorrebbero anche ‘gonfiare’ i numeri dei cittadini senzatetto, in modo tale da ottenere cospicui finanziamenti per le imprese del territorio, che hanno cognomi pesanti. “Non siamo l’Africa – risponde Marcello Torre –. Abbiamo bisogno di tecnici per far rientrare i cittadini nelle case, non di soldi e beni di prima necessità”.
 
Si oppone dunque al connubio politico mafioso, mantenendo la schiena dritta fino a quel maledetto 11 dicembre 1980, quando viene assassinato a colpi di lupara dal reo confesso Francesco Petrosino. Omicidio commissionato dal boss Raffaele Cutolo, che non poteva accettare il rifiuto deciso del sindaco. E’ un omicidio “che costituisce anche un segnale nei confronti degli amministratori degli Enti locali, ai quali vengono indicate le ‘procedure’ che saranno seguite in caso di non assoggettamento o di dissenso”, scrive la Commissione parlamentare antimafia, XI legislatura, nelle conclusioni della relazione.
 
“Torno nella lotta soltanto per un nuovo progetto di vita a Pagani. Non ho alcun interesse personale. Sogno una Pagani civile e libera. Ponete a disposizione degli inquirenti tutto il mio studio. Non ho niente da nascondere. Siate sempre degni del mio sacrificio e del mio impegno civile. Rispettatevi ed amatevi. Non debbo dirvi altro”, dice per iscritto il 30 maggio 1980 alla moglie Lucia e ai figli Giuseppe e Annamaria. Una lettera che diventa un testamento etico, capace di trasmettere l’amore per il proprio paese e il profondo senso dello Stato. Un gigante ancora oggi in mezzo ai vivi. E vili.

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