Di Andrea Zolea

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La mafia calabrese è presente in Australia dagli anni Venti. Come documentato da Vincenzo Macrì e Enzo Ciconte nel libro ‘Australian ‘ndrangheta’ i proventi derivanti dai sequestri di persona hanno consentito ai clan calabresi insediatisi nel ‘Continente Nuovo’ di entrare nel traffico della droga, attività che ha reso la ‘ndrangheta in Australia più ricca, potente e violenta. Esemplificazione di ciò, sono stati gli omicidi di tre funzionari di Stato, rimasti ancora oggi impuniti. Che tipo di risposta hanno dato le istituzioni australiane all’infiltrazione mafiosa nei loro territori? La ‘ndrangheta ha mai intessuto relazioni con la politica australiana?

Le istituzioni

Interessante e degna di nota è la previsione del funzionario della Dea, John Cusack, effettuata a metà anni Sessanta, che afferma: “l’onorata società calabrese attualmente è coinvolta in reati di estorsione, prostituzione, falsificazione, gioco d’azzardo, traffico d’armi, traffico di stupefacenti ed usura. Se il fenomeno non verrà represso entro 25 anni, sarà in grado di occuparsi di ogni aspetto del crimine organizzato e degli affari legittimi del paeseGrazie alla missione affidatagli nel 1988 in Australia, Nicola Calipari ha potuto far luce sulle attività delle cosche calabresi all’interno dello stato oceanico. Nella sua relazione, egli ha sottolineato i limiti giudiziari australiani nella lotta alla mafia, riconducibili al sistema giuridico anglosassone (common law) che non prevede il reato associativo. Inoltre, la mancanza di comunicazione tra polizie e la scarsità di indagini dovute ad una sottovalutazione del problema, non hanno permesso un efficace contrasto del fenomeno. Calipari, a proposito dei controlli e della burocrazia australiana, scrive: “I normali controlli di Polizia sono spesso ostacolati dal limitatissimo uso dei documenti di identità (basti pensare che non esistono carte d’identità o che l’obbligo dell’applicazione della fotografia sulla patente di guida è stato introdotto, nel solo Stato della Victoria, da pochissimo tempo), dalla disabitudine dei completi dati anagrafici (quasi sempre il comune di nascita e la paternità non sono indicati) e dalle rigide norme procedurali in materia penale che ammettono solo la presentazione di prove evidenti e non indizi.

Nel 2002 inoltre, in seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001, l’AFP – Polizia Federale Australiana – ha chiuso, per questioni interne legate alla lotta contro il terrorismo, il suo ufficio di Roma, utile per lo scambio di informazioni tra le forze di polizia italiane e australiane. In una recente relazione sulla criminalità organizzata italiana, l’AFP ha inoltre affermato: “sulla base delle informazioni attualmente disponibili, non esistono organizzazioni criminali di stampo mafioso all’interno della comunità australiana[…]non esiste alcun gruppo italiano, come ‘ndrangheta, mafia o camorra,[…] tuttavia esistono società segrete e […] gruppi di calabresi coinvolti in attività criminali di tipo organizzato, ma è inesatto considerare questi gruppi ramificazioni di organizzazioni estere.

La politica

Non vi è mafia senza politica: i rapporti organici con essa sono un requisito necessario per poter parlare di criminalità mafiosa e, come in Italia, anche in Australia la ‘ndrangheta riesce a contaminare la politica e corromperne i politici. La prima grande collusione emerge nel 1974. Al Grassby, membro del partito laburista e ministro federale dell’immigrazione, è in stretti rapporti con un capobastone di Griffith, Peter Callipari, con il quale si reca addirittura in Calabria per sancire il gemellaggio tra Platì e Griffith. Lo scandalo che ha destato più scalpore avviene quando Al Grassby concede il rientro in Australia a Domenico Barbaro, ‘Mico l’australiano’, già espulso dalle autorità locali, che così può fare ritorno nel ‘Continente Nuovo’, portando con sé il denaro ricavato dal sequestro di Pierangelo Bolis da investire nelle coltivazioni di marijuana. Quando Barbaro anni dopo viene arrestato in Italia, la stampa australiana conduce una dura campagna contro Grassby che, nel 1987, viene arrestato con l’accusa di collusione con la criminalità organizzata calabrese.

Francesco Madafferi, nato nel 1961 a Oppido Mamertina (versante Tirrenico di Reggio Calabria) si trasferisce in Australia sul finire degli anni ’80. Vive a Melbourne con un “visto turistico” per circa 13 anni. Quando è arrestato, in quanto clandestino, viene avviata la procedura di espulsione condotta dall’allora ministro dell’Immigrazione Philip Ruddock. Nino Randazzo, attualmente senatore della Repubblica Italiana ma ai tempi direttore de ‘Il Globo’, popolare giornale italiano in Australia, diffonde tramite il suo quotidiano e l’altro giornale italiano ‘La Fiamma’ una lettera aperta indirizzata al ministro Ruddock in cui richiede un atto di umanità e civiltà nei confronti di Madafferi. Il ministro rimane impassibile all’appello e la situazione non cambia fino a quando, nel 2005,il neo eletto ministro dell’Immigrazione, Amanda Vanstone, annulla l’espulsione di Madafferi. Dopo l’ennesimo arresto del pregiudicato, avvenuto nel 2007 a seguito del più grande sequestro mondiale di ecstasy nel Porto di Melbourne, alcuni giornali australiani svolgono una dura campagna contro il ministro Vanstone, accusandola di corruzione. Secondo la stampa, Antonio Madafferi, fratello dell’imputato Francesco, avrebbe elargito un’ingente donazione al partito liberale in cui militava la Vanstone. Nonostante le polemiche suscitate, dal 2007 al 2010 Amanda Vanstone ha ricoperto il ruolo di ambasciatrice australiana in Italia.

La ‘ndrangheta in Australia è una realtà concreta. Ciò che maggiormente colpisce e preoccupa è l’invisibilità che le viene garantita dalla politica e dalle forze dell’ordine. Quando si parla di mafia il commento spesso più frequente è: “finché si ammazzano tra di loro…”. Tale frase è stata utilizzata, ad esempio, dopo la strage di Duisburg avvenuta nel 2007 in Germania. In Australia la situazione è però diversa: la ‘ndrangheta ha colpito tre funzionari dello Stato, gli omicidi sono rimasti impuniti e, nonostante ciò, le teorie negazioniste continuano a dilagare. I clan calabresi, inoltre, godono di consenso e legittimità, garantitagli anche dalla politica. Esempio lampante è proprio il caso di Amanda Vanstone.

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