Di Flavia Famà – Libera Internazionale

25 aprile 2013, Cuadernos mexicanos

foto (1)Oggi abbiamo incontrato alcuni familiari delle vittime della guerra al narcotraffico e dei desaparecidos.

Qui in Messico la giustizia non esiste, i diritti umani sono lettera morta, questo è il grido forte di Guillermo, il cui figlio Edmundo è stato assassinato nel 2004 perché aveva denunciato la rete di spaccio di droga nel suo quartiere, un omicidio in cui lo Stato ha responsabilità evidenti per la mancanza di protezione e di indagini serie.

Nello stesso quartiere sabato scorso hanno rapito un ragazzo e nessuno sa perché.

Tragedie, come la strage del News Divine, una discoteca dove nel 2009 durante una festa di fine anno scolastico c’è stata un’irruzione  della polizia, volta a controllare il consumo di droga nel locale. In pochi minuti tra gas lacrimogeni e spari sono morti dodici adolescenti innocenti. Dagli esami tossicologici è emerso che nessuna delle vittime aveva assunto droga. Due settimane fa finalmente è arrivata la sentenza: a pagare solo i poliziotti che hanno eseguito gli ordini e nessuno dei mandanti è stato giudicato colpevole.

Il Presidente del Tribunale ha persino proibito ai familiari delle vittime di assistere alla pronuncia della sentenza.

In sei anni 20.000 persone, la maggior parte giovani, sono scomparsi: secuestrados y desaparecidos.

Oggi, insieme a noi, i familiari di alcuni di loro, con la foto, la data e l’età dei loro cari all’epoca della sparizione ci raccontano di aver incontrato difficoltà non solo nella ricerca, ma già nella denuncia della scomparsa perché minacciati, anche dalle stesse autorità preposte. “Non peggiorate la situazione”, “potreste fare la stessa fine dei vostri cari”, sono alcune delle intimidazioni più frequenti.

Adela e Manuel cercano la loro figlia Monica, studentessa, desaparecida dal 14 dicembre 2004 quando aveva 20 anni.

foto (3)

Maria Guadalupe cerca suo figlio José Antonio, ingegnere, desaparecido dal 25 gennaio 2009 quando aveva 32 anni.

Carlos cerca sua moglie Josephina e le sue figlie Johanna di 21 anni e Carla di 19 anni, sequestrate il 6 gennaio del 2011, tutte ancora desaparecidas.

Mary cerca suo fratello Matusalem, ingegnere civile, portato via insieme ad altri tre colleghi dalla polizia locale, desaparecido dal 21 ottobre 2009 quando aveva 30 anni.

Lizeth cerca suo padre Gersain, commerciante, desaparecido con altri cinque colleghi dal 21 marzo 2009 quando aveva 36 anni. Lizeth aveva 15 anni e sua sorella 12 quando il padre telefonò a casa per avvisare che sei suoi colleghi erano stati sequestrati e che insieme ad altri stava andando a riscattarli. Dal giorno successivo si sono perse le tracce di Gersain e degli altri cinque che erano andati insieme a lui. Dodici persone scomparse nel nulla e l’unico che poteva sapere qualcosa, il proprietario dei furgoni dove sono stati visti l’ultima volta, è stato ucciso quindici giorni fa. La madre di Lizeth è stata tra le prime a far parte di FUNDEC – fuerzas unidas por nuestros desaparecidos en Coahuila – l’associazione che riunisce i familiari dei desaparecidos. Mentre Lizeth ci racconta quello che è successo in questi quattro anni e ci dice che non sa se pensare che il padre sia morto o vivo e ancora sotto sequestro e costretto a lavorare: “esto es lo pasa aquí en México.”

Carlos Cruz, uno dei promotori del nostro viaggio messicano, dopo aver ribadito ai familiari dei desaparecidos che nella nostra rete non troveranno semplice solidarietà ma reciprocità, ha concluso l’incontro con il loro slogan: “vivos los llevaron, vivos los queremos”.

Mentre ascoltavo i loro racconti mi sono sforzata di capire le ragioni delle sparizioni forzate, ma non sono riuscita a trovare nessun minimo comun denominatore se non quello della follia criminale. Da oggi sento più forte il mio impegno, adesso è segnato anche da questo dolore che abbatte le distanze.

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