Saveria AntiochiaSaveria Antiochia era la madre di Roberto Antiochia, membro della scorta dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, assassinati da Cosa nostra rispettivamente il 28 luglio e il 6 agosto 1985.  Di Saveria e di Roberto si è parlato presso lo Spazio Melampo a Milano il 10 gennaio scorso durante la presentazione del libro “In nome del figlio – Saveria Antiochia, una madre contro la mafia”. Assieme all’autrice Jole Garuti, Nando dalla Chiesa, Alessandro Antiochia – figlio di Saveria e fratello di Roberto –  e l’attrice amica di famiglia Loredana Martinez.

Roberto è morto “nel volontario, disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po’ di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli, in ben altra proporzione, sapendo quanto fosse preziosa la sua opera e in quale tremendo pericolo fosse la sua vita”. Queste erano le parole di Saveria nella famosa lettera del 22 agosto 1985 pubblicata su “La Repubblica”.

Saveria, una madre e una donna instancabile. Da quel 6 agosto 1985 spese ogni energia per diffondere i valori, le idee e i pensieri di suo figlio.  Fu una delle fondatrici del Circolo Società Civile di Milano, del Movimento antimafia di Palermo e dell’associazione Libera. Esemplare fu anche il suo impegno nelle scuole. Il figlio Alessandro ricorda ancora gli avvisi che “mamma” lasciava per avvertire della sua partenza verso le più disparate città italiane per parlare, raccontare e tenere viva la memoria di Roberto. Saveria, ribelle, alzò la testa dinanzi allo strapotere di Cosa nostra, all’epoca la più forte organizzazione criminale insieme al cartello di Medellin. Una ribellione che nacque dall’amore indescrivibile di una madre verso il proprio figlio e dal dolore nel vederne la morte.

Saveria, una donna forte che seppe trasformare il suo dolore in un movimento di ribellione condiviso da tutti. Studenti, esponenti politici, membri del movimento antimafia e delle forze dell’ordine. Come ha sottolineato Nando dalla Chiesa nel suo intervento, ai funerali di Saveria c’erano poliziotti e studenti in pari misura, uniti nel ricordare una donna che ebbe la capacità di indignarsi. Una donna battagliera e generosa ma capace di essere anche dura, come lo fu con la Questura di Palermo e con il Governo dell’Ulivo. Per tutta la vita continuò a chiedersi e a chiedere chi fosse la “talpa” tra gli uomini della Questura di Palermo. La domanda ricorrente e straziante fu proprio questa: chi avesse seguito gli spostamenti e avvertito gli esecutori dell’omicidio del commissario Ninni Cassarà di ritorno a casa.  Anche per gli uomini dell’Ulivo, che ritenevano che i collegamenti tra Stato e mafia dipendessero dal mancato ricambio politico e che promettevano grandi cambiamenti rivelatisi poi privi di significato, riservò parole dure.

Jole Garuti, socia fondatore del Circolo Società Civile, autrice del libro e stretta amica di Saveria, ha ricordato con ammirazione come, a pochi mesi dall’omicidio del figlio, Saveria riuscisse a parlarne senza piangere. Il ricordo di Roberto viveva tramite le parole di Saveria e questo ricordo – riteneva la donna – non doveva essere confuso dalle lacrime. Per amore e nel ricordo del figlio, sollecitava i giovani a scegliere: scegliere da che parte stare ed essere fedeli a questa scelta; valori che avevano contraddistinto la vita di Roberto.

Alla morte di Saveria, avvenuta nel 2001, è mancata la portavoce di Roberto, che – ha sottolineato Alessandro –insegnò sempre ai figli l’importanza del coraggio per affrontare gli eventi della vita con il sorriso e dell’indipendenza (Saveria amava definirsi un “cane sciolto”). Saveria era un esempio, un’eroina moderna. Raccontare la sua storia, come ha ammesso Garuti, era una necessità. Ed effettivamente, ricordare questa vita di coraggio, umiltà e forza d’animo risulta a oggi una esigenza attuale e impellente.

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