di Claudio Campesi

«Le investigazioni hanno consentito di accertare l’appoggio elettorale fornito dalla cosca Pisano (conosciuti come “i diavuli” ndr) al candidato Sindaco di Rosarno (Giuseppe Idà ndr) … in cambio della promessa di incarichi nell’organigramma comunale a uomini di fiducia della consorteria criminale, nonché l’assegnazione di lavori pubblici e di altri favoritismi» questo si legge nella nota diffusa dall’Arma in merito al coinvolgimento del primo cittadino rosarnese nelle misure cautelari seguite all’operazione Faust dello scorso gennaio. L’accusa mossa nei suoi confronti è pesante: scambio elettorale politico-mafioso. Ieri venerdì 12 febbraio il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria ha revocato gli arresti domiciliari al sindaco Idà: la misura cautelare è stata sostituita con il divieto di dimora a Rosarno.

I Pisano avrebbero procacciato, d’accordo con Idà, i voti per la campagna elettorale del 2016 in cambio di utilità di vario genere come l’assegnazione dell’assessorato ai lavori pubblici ad un uomo di fiducia, Domenico Scriva – finito nella lista degli indagati e per il quale anche per lui ieri il Tribunale del Riesame ha revocato la misura cautela – la riapertura del centro vaccinale a Rosarno e alcune varianti al pgt (piano di governo del territorio) pensate per favorire gli interessi dei Pisano. Secondo l’accusa, il boss Francesco Pisano avrebbe addirittura scelto il simbolo della lista capeggiata da Idà, deciso il programma elettorale e finanche sintatticamente dettato il discorso d’apertura di campagna elettorale del futuro primo cittadino.

Non a caso, solo qualche giorno fa (9 Febbraio), su disposizione del prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, si è insediata a Rosarno la commissione d’accesso antimafia che avrà tre mesi per presentare una relazione utile a svolgere «accertamenti mirati ed approfondimenti allo scopo di verificare la sussistenza di eventuali forme di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare, tali da determinare una alterazione del processo di formazione della volontà degli Organi elettivi e amministrativi, e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità dell’Amministrazione comunale, nonché il regolare funzionamento dei servizi». In buona sostanza, la commissione d’indagine prefettizia, su mandato del Ministero dell’Interno, dovrà relazionare circa il reale pericolo che l’attività dell’amministrazione comunale rosarnese possa essere stata dettata dagli interessi dei clan.

L’indagine “Faust” tuttavia è più ampia. È stata condotta dalla Dda di Reggio Calabria e coordinata dal procuratore Giovanni Bombardieri e dall’aggiunto Gaetano Paci. È il 18 Gennaio appena trascorso quando, alle prime luci dell’alba, gli uomini della Benemerita danno esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 49 soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, traffico di stupefacenti, detenzione illegale di armi, tentato omicidio, usura e procurata inosservanza di pena. Un’indagine articolata che farà molto discutere. Ma torniamo alla posizione del primo cittadino.


Stante la necessità, costituzionalmente garantita, di dover attendere il prosieguo del processo prima di poter elargire giudizi di condanna, non si può non notare come tali accadimenti minino la già labile fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni. Soprattutto in determinati contesti, luoghi nei quali il futuro viene offuscato proprio a causa della presenza della ‘ndrangheta che con i propri tentacoli avvolge, soffocandoli, tutti gli aspetti del vivere sociale, creando poi sottosviluppo.
Non ci si può permettere di sbagliare, di non sapere, qui. Oggi la politica locale e regionale si affretta a prender le distanze dal sindaco ma la domanda sorge spontanea per chi quei territori li conosce e li frequenta: era in qualche modo prevedibile tale sviluppo che vede oggi il sindaco indagato? Certo è che alcuni segnali avrebbero dovuto quantomeno far sorgere dubbi negli elettori in buona fede e nelle classi dirigenti regionali.

IL CONTESTO. Ci troviamo nel cuore della Piana di Gioia Tauro (RC), culla, al pari di Africo e San Luca, di alcune tra le più spietate e potenti famiglie di ‘ndrangheta. A Rosarno comandano, ancora oggi, i Pesce e i Bellocco, due famigerate ‘ndrine attorno alle quali gravitano famiglie di mafia emergenti quali i Cacciola, i Grasso, et alia. Famiglie che talora arrivano a scontrarsi per il controllo del territorio ma che nel complesso convivono in quella che gli inquirenti definiscono la “Società di Rosarno” che, nell’organigramma dell’Onorata Società, ricade sotto il mandamento tirrenico.
L’amministrazione comunale è stata sciolta due volte (nel 1992 e poi nel 2008 ) proprio per l’infiltrazione delle ‘ndrine locali nei gangli decisionali. Una cittadina definita come il «comune con la più alta densità criminale d’Italia» all’interno del quale, come emerso dalle parole di Domenico Oppedisano, rosarnese con la dote pro tempore di Capo Crimine (reggente dell’intero sistema ‘ndrangheta) intercettato durante la maxi-operazione Crimine-Infinito, spiegò che a Rosarno risultavano essere attivi, su un totale di 15 mila abitanti, circa 250 affiliati, ai quali si aggregavano tra le 4 e le 7 persone a settimana.
Un contesto, quindi, all’interno del quale anche la parola non detta assume un significato pregnante.

LA CAMPAGNA ELETTORALE. L’attuale sindaco è il candidato uscito vincente dalle ultime elezioni locali tenutesi il 5 Giugno del 2016. A concorrere per la fascia tricolore c’erano due avvocati: Giuseppe Idà (lista civica in quota Ncd) e Giacomo Saccomanno (ex sindaco, lista civica in quota Fi, FdI). Viene eletto il primo con il 57,7% dei consensi (4.648 voti) relegando all’opposizione consiliare la lista capeggiata da Giacomo Francesco Saccomanno (3.406 voti). Il Pd, in quell’occasione, sceglie di non presentare alcuna lista. Eppure una candidata ci sarebbe stata: Elisabetta Tripodi. Aveva vinto le elezioni in quota Pd nel 2010 e guidato il comune fino a Maggio del 2015, quando l’amministrazione finisce nelle mani dei commissari prefettizi, a seguito delle dimissioni di alcuni membri di maggioranza. È un simbolo antimafia per l’intero territorio, fattasi promotrice di svariate iniziative volte a contrastare l’egemonia dei clan, non ultima quella di dare seguito alla confisca dell’abitazione di Rocco Pesce, fratello del capobastone Antonino Pesce, detto “testuni”(arrestato nel ‘93). L’edificio, costruito abusivamente su un’area sottoposta a vincolo archeologico, era già stato acquisito al patrimonio comunale nel 2003, con la giunta guidata da Giuseppe Lavorato. L’atto, reso coraggiosamente esecutivo dalla Tripodi nel 2010, diventa l’emblema dell’azione antimafiosa condotta a viso aperto proprio nel feudo dei boss. Niente da fare, non viene ricandidata. “Cambiamo Rosarno” guidata da Idà e “Insieme per Rosarno” con Saccomanno si fronteggiano in campagna elettorale. Mesi di intensa attività, comizi nelle piazze, dibattiti, stilettate tra i due candidati. La parola ‘ndrangheta non compare all’odg, né nei discorsi pubblici né nei programmi stilati dalle due compagini. Si è parlato di raccolta differenziata dei rifiuti e di opere di riqualificazione urbana ritenute improrogabili. La piaga di Palermo è «il traffico», quella di Rosarno è invece la nettezza urbana, parafrasando Benigni nel celebre film “Johnny Stecchino”.