di Rita Infantino

“Lezione di vita, lezione di coraggio: questo per noi è il 23 di maggio”.

Una voce unanime si leva nelle strade di Palermo. È il variegato corteo partito da via D’Amelio. Oltre 50mila persone di tutte le età. Una bambina di cinque anni stringe la mano alla sua mamma. Sorride. Si guarda intorno stupita. Fiera si unisce ai cori. “Palermo è nostra, non di Cosa nostra”. I più anziani osservano dai balconi. Espongono i lenzuoli bianchi. I loro occhi sono commossi. Nelle strade intere classi sfilano indossando cappellini o maglie con il nome della scuola. I ragazzi dai “cappellini verdi” di una scuola media della provincia di Palermo alzano la voce senza esitazione. Ai tanti siciliani si sono aggiunte persone provenienti da tutta Italia. Palermo chiama Italia. Questo il nome dell’evento promosso dalla Fondazione Falcone e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’Italia ha risposto. Esattamente come rispose in seguito alle stragi del 1992.

A venticinque anni di distanza il paese non dimentica. L’Italia dell’antimafia non dimentica le sue radici. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno perso la vita. Insieme a loro sono stati uccisi Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone, e gli uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Loro sapevano che quel momento sarebbe arrivato. Non si sono tirati indietro. Erano convinti di percorrere la strada giusta. Da via D’Amelio a via Notarbartolo è la strada giusta. La strada della legalità. Questo è il potere della memoria. Ripercorrere le storie. Imparare. Leggere ogni dettaglio. Aprirsi all’ascolto, alla lettura. Essere curiosi. Cercare risposte. È vietato trincerarsi dietro alle proprie convinzioni. Nel corteo sono presenti tante persone che nel 1992 hanno visto. Hanno udito le esplosioni. Hanno pianto i magistrati. Anche grazie al loro ricordo i giovani hanno manifestato contro la mafia. I giovani che pur non avendo visto si sentono coinvolti. Coinvolti dal ricordo di due uomini, ma soprattutto dall’ideale che essi impersonano.

L’educazione alla legalità significa portare tutti, dai più piccoli ai più grandi, a sentirsi protagonisti. Protagonismo che ha senso solo se condiviso. Falcone e Borsellino sono stati uccisi perché protagonisti soli. I nemici non erano solo i mafiosi. I nemici erano nella politica. Ma nemici erano anche tutti coloro che restavano a guardare. Una persona da sola può fare grandi cose. Giovanni Falcone ci ha lasciato in eredità un impianto giudiziario e investigativo straordinario. Eppure l’hanno ucciso. Tante persone unite nel corteo e nell’impegno quotidiano possono portare a grandi cambiamenti. Il primo punto dell’agenda è sconfiggere la mafia. Negarle il consenso, come suggeriva il giudice Borsellino. Toglierle l’aria. Isolarla.

L’importanza della lotta unanime la sottolinea da anni don Ciotti, presidente di Libera, associazione contro le mafie. Lo sanno bene anche i bambini., che infatti esclamano: “Ei tu alla finestra: scendi giù e manifesta”. Un grido convinto. Un grido di speranza e disperazione allo stesso tempo. In tanti possiamo fare molto. Rimanere alla finestra a guardare toglie forza a quella voce. I bambini nascono liberi. Non si può negar loro il diritto di continuare ad esserlo.

Il corteo si conclude davanti all’albero Falcone, in via Notarbartolo, lì dove viveva il giudice. Al suono della tromba: il silenzio. Non più il silenzio di sgomento delle ore 17:58 del 23 maggio 1992. Un silenzio commemorativo di rispetto. Una pausa in cui ciascuno forse si è fatto una promessa: “Io ci sono oggi, giorno speciale, ma voglio continuare ad esserci. Voglio dire “no” alla mafia. Voglio assumermi la responsabilità del cambiamento”.

Il 23 maggio è stato questo a Palermo. Il 23 maggio deve essere ogni giorno nella vita di ciascuno

La delegazione universitaria di Milano al Porto di Palermo il 23 maggio


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